6 agosto 2010

Sul terzo polo. Fra Bologna e il Sud. Cevenini e Guazzaloca

Fra i sacri principi (della sinistra, del bipolarismo ecc.) e la prosaica politologia (elezioni da fare/non fare, alleanze da fare/non fare…) ci dovrebbe stare un qualche scampolo di analisi.


Che cosa rappresenta questo ‘terzo polo’ in fieri ? Al di là dei giochi di sponda ci sono affinità fra ciò che rappresentano (o vogliono rappresentare) Fini, Casini e Rutelli (e i vari Lombardo, Poli Bortone, Miccichè ecc.) ? E quanto spazio possono occupare ? Ci sono aspetti che le poche analisi circolanti tendono a trascurare e che invece, a mio avviso, sono dirimenti. Anticipo subito la conclusione del ragionamento. Il terzo polo neo-centrista, se c’è o ci sarà, è essenzialmente il “partito del sud”. Questo partito è in incubazione da tempo, almeno dalle europee del ’99. Ed è sorto per reazione all’asse a traino leghista assunto dal governo Berlusconi. I primi sintomi si sono evidenziati in Sicilia, con lo sfaldamento del Pdl regionale. L’ondata astensionista che ha colpito il Pdl nel sud alle europee del ’99 è stata la prima manifestazione di una insofferenza ancora latente, ma profonda. Alle regionali essa si è nuovamente manifestata. In Campania (come nel Lazio) con le lotte intestine al Pdl e con un risultato al di sotto delle aspettative. In Puglia con il ‘lasciapassare’ concesso a Vendola (altro che ‘narrazione’) dall’Udc e dalla Poli Bortone (cioè da un pezzo di An renitente alla leva Pdl). Sono tutti segnali che convergono nel mostrare come sia venuto rapidamente frantumandosi l’investimento fiduciario del Sud appannaggio del Pdl berlusconiamo.

A questo proposito è bene ricordare alcuni dati di struttura (che ho esposto a più riprese in diversi saggi su “Il Mulino”):

Le elezioni, dal ’46 ad oggi, sono state sempre decise dal voto del Sud. E’ nel Sud che i diversi governi (e le forze politiche ad essi associate) hanno tratto le risorse strategiche di consenso. Nel ’48 la Dc sfondò al Nord, ma la pagò nel ’53 con la sconfessione al Sud della ‘legge truffa’. Negli ’80 la competizione intra-penta-partito fra Psi e Dc ebbe come teatro la conquista del Sud. Più in generale la Dc ha tenuto il governo repubblicano ‘meridionalizzandosi’. E la Lega, con lo sfaldamento della sub-cultura bianca del triveneto, alla fine, è sorta come reazione a questo stato di cose. Si potrebbe continuare… Ma basta qui richiamare che la regola si è riproposta con la seconda repubblica. Nel ’94 Berlusconi inventa un marchingegno per unire il nord e il sud: la doppia alleanza (Polo delle libertà al Nord: Fi-Lega), polo del buongoverno al sud (Fi-An). Vince ma poi non riesce a governare perché la Lega mal sopporta l’asse privilegiato fra Fi e An. Nel Sud, peraltro, ci sono risorse di voto congelate al centro da Pattisti e Popolari. L’Ulivo vince nel ‘96 non solo per la defezione della Lega al Nord, ma perché conquista parte significativa del Sud: la Campania in primis. Nel 2001 Berlusconi ripristina l’asse con la Lega, ma vince di misura. Il Sud, ad eccezione della Sicilia, non segue, perché l’Ulivo resta forte. L’intera legislatura 2001-2006 è ammorbata dallo scontro fra le ali della coalizione: la Lega da un lato, An e l’Udc dall’altro. Segno che non c’è equilibrio e amalgama fra il Nord e il Sud. Perché se la Lega è il Nord, l’Udc ed An sono il Sud. Il Nord vuole mani libere, il Sud protezione e sostegno statale. Fi sembra riuscire, al Sud, solo in quanto interlocutore dell’economia criminale (e questo spiega il caso Sicilia e la comunanza con Dell’Utri, vero co-fondatore di Fi e Pdl). Ma più in là di questo stenta. Nel 2006 il centro-sinistra formato Unione rivince, seppure di minima misura. A fare la differenza è, ancora il Sud, dove si spostano sull’Unione le tre regioni ‘in bilico’ e ondeggianti: la Sardegna, gli Abruzzi, la Calabria. Mentre tiene, seppure con qualche sintomo di cedimento, la Campania (e il Lazio). Ancora queste tre regioni fanno la differenza nel 2008. Tornano alla destra, assieme alla conquista della Campania, dove si sfalda il ‘sistema di potere’ post-democristiano gestito da Bassolino. La crescita della Lega al Nord è compensata dalla meridionalizzazione del Pdl, grazie all’apporto dei voti di An.

Nel sud gli spostamenti di voto avvengono al seguito delle migrazioni e dei pendolarismi della classe politica. Cioè dei mediatori del ‘voto di scambio’. Così è sempre stato anche se non mancano episodi di ‘insurrezione popolare’, con gli elettori che trainano la classe politica (emblematici sono stati i casi di Palermo con Orlando e di Catania con Bianco, ma anche, seppure in formato ridotto, anche il caso di Vendola ne è un episodio…). Il centro-sinistra ha ‘tenuto’ il Sud grazie all’attrazione di pezzi rilevanti di classe politica e dei loro seguiti personali. Per inciso, le scelte di Veltroni (con la defenestrazione di De Mita e il congelamento in lazzaretto di Bassolino) hanno favorito il distacco. La lotta con D’Alema – uomo politico, come egli stesso professa, ri-naturalizzatosi al sud – è un momento di questa frattura.

Gli eventi attuali, con lo strappo di Fini, mostrano che si è riaperta la questione del Sud. Il terzo polo è il tentativo di offrire una autonoma aggregazione ‘al centro’ di classi politiche sino ad ora oscillanti fra la destra e la sinistra. L’elettorato e la società meridionale stanno lacerando il patto che aveva dato vita al Pdl. Non si sentono più rappresentati/garantiti. Potrebbero riagganciarsi a una alleanza con la destra solo a patto di un forte ridimensionamento del potere pivotale della Lega. Ma questo sembra assai difficile. Non a caso Fini, Casini e Rutelli hanno un punto programmatico in comune. Più ancora che le questioni della legalità costituzionale è l’avversione al federalismo in salsa lego-berlusconiana ad unirli.

Qui si pone il che fare del Pd. Se vuole vincere le elezioni e tornare al governo deve riprendere il sud, ma per come si sono messe le cose non potrà farlo che a prezzo di una alleanza con il terzo polo. Checchè ne pensino i ‘grandi, e puri, bipolaristi’ nostrani, D’Alema ha ragione. Non c’è alternativa. Una riedizione dell’autosufficienza veltroniana del 2008 non è proponibile. Ancor meno di una riedizione dell’Unione. Ciò che stupisce nell’atteggiamento di Bersani (pur concedendogli che i dilemmi sono diversi e le soluzioni molto aleatorie) è l’ondivago spostarsi fra la Lega e il terzo polo. Non sono sommabili, neppure in un governo minimale di transizione.

Segnaliamo un ulteriore paradosso. I leader del terzo polo, almeno due Fini e Casini, vengono da Bologna. Hanno i natali al centro-nord e il seguito al Sud. Qualcosa del genere accade anche a Bersani, che come si sa, è stato plebiscitato, nelle primarie, al Sud, non nella terra natale (l’Emilia). Strani paradossi geo-anagrafici.

Già che ci siamo un appunto su Bologna e l’evocata politica di larghe intese civiche. La partita politica, come richiamato, si gioca da Roma in giù. Il centro starà come è, cosiccome il Nord. E’ al sud che passa il cambiamento. Perciò Bologna (e l’Emilia) questa volta non potrà anticipare alcunché. Campagnoli fa bene a richiamare la necessità dell’analisi politica. Ma l’analisi è questa. Inutile ingrandire il discorso. L’allargamento del centro-sinistra è, al massimo, un problema locale. Non anticipa nessuna linea nazionale. A Bologna, come nel nord, il terzo polo si tirerà dietro ben poca gente, mentre al sud potrebbe catalizzare ceto politico e seguiti elettorali. Il problema elettorale bolognese è essenzialmente che fare rispetto a Guazzaloca e quel tanto di consenso che si tira dietro per nostalgia naturale. La lista Civica non esiste più. Una parte ha seguito Corticelli a Destra. L’Udc è di nuovo sé stessa. Alle comunali Guazzaloca prese il 12 %. Adesso non credo (sondaggi alla mano) vada sopra il 5 %. Un terzo polo autonomo non andrebbe oltre l’8 %. La stessa cifra totalizzata dai gauchismi irriducibili alle comunali: di nuovo conio – Favia – e di impianto più datato – come nei Monteventi, Pasquino, Tedde, Terra ecc. Compito del Pd è riuscire a grattare qualcosa a sinistra e qualcosa al centro. Cosa che può fare meglio se sta sulla barra, senza barellare. Restano molti degli amici del tressette di primo pelo. Credo che non abbiamo alternative ad aggregarsi al carro e il loro potere contrattuale è nella misura di pertinenza. Vediamo come si mette. Per adesso concludo ancora con una osservazione. Cevenini sembra il più consapevole della fase e si muove con un garbo tattico tale che pochi professionisti politici ci arrivano. Distinti saluti.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Sora Fausta, apprezzo molto l'analisi... anche il Signor Gino apprezzerebbe, ne sono certo... quando poi parla di garbo, Sora Fausta, subito il volto di Cevenini mi appare... luminosamente avvolto da un'aureola di neon rossi e blu di chi ama così tanto Bologna che nemmeno il Guazza!... il più consapevole della fase... "fase" si usava nell'immaginifico lessico marxista per indicare un passaggio dello scontro di classe... prosit! Garbo tattico di "fase"!... No, veramente... apprezzo molto Sora Fausta... mi creda. Avere un politologo espresso che sa apprezzare il garbo... è una fase nuova!

AV

Fausta ha detto...

Caro frate Andrea, il 'garbo tattico', esiste. In politica, mi creda, è una virtù, quanto meno utile, tanto più quando nel concerto dominano i toni striduli (più che 'alti') e concitati. Forse è deprecabile dissimulazione, nondimeno è sempre una prova di calma e sicurezza interiore. Come la buona educazione (e lo dice uno al quale, come sa, manca). Anche l'aureola rosso-blu ha il suo posto sul video. Lei ricorderà quanto la sinistra abbia penato nello scoprire che altri stava cliccando con vantaggio l'icona. Certo sia io (la sora) che lei (il frate) abbiamo la puzza sotto il naso. Il luogo-comunismo ci opprime. Ma la politica efficace sa surfarci sopra, mentre noi corriamo sempre il rischio di restarci sotto. Saluti, sora Fausta.
Ps. Gino, in effetti non so se lo conosco. Ma andrei cauto a stabilire facili connection. Potrebbe anche essere Lei, frate Andrea. Forse è amico di quell'Arturo. Adesso immagino stia girando per la Via Emilia, verso Modena, su una Prinz e con il cappello in testa.

Anonimo ha detto...

Cara Signora Fausta (non sorella... "sora" in romanesco è "signora"!) lei mi è molto simpatica e provo nostalgia al solo pensiero di quante belle riunioni avremmo potuto fare insieme! Come quelle che ha fatto per tanti, tanti anni il caro Signor Mauro... che ancòra se le ricorda con molto affetto per il tanto che l'hanno arricchito (lasciamo stare il denaro, lungi da me!). Lei ha ragione, Sora Fausta, bisogna saper vedere il grande nel piccolo e soprattutto la linea retta nel granchio... che sa riderci (surfarci) sopra... vede... Fini, da questo punto di vista, è un eroe del nostro tempo... il punto d'arrivo che Bologna ha dato al mondo politico, con Pier Furby e, forse, il Cev.
Mentire non ha più senso... lo rileva oggi anche il Cav... parlare è mentire... vivere è dissimulare, studiare è prendere trenta, pensare è ottusità: siamo al mondo sovietico incistato nella società liberale... non avevo dubbi! Mi fa piacere Sora Fausta che lei stia con il Cev... veramente! Metta una buona parola anche per me che non celoconlui... sono un disgrassiato, Sora Fausta... sia buona con me! La saprò ricordare nei miei vespri! Se il Sig.Cev ha bisogno di qualche libro, magari... sarò fantozziancontento di aiutarlo!

AV

Sora Fausta ha detto...

Frate Andrea, grazie per la precisazione. Io pensavo che Sora fosse una abbreviazione del meridionale 'sorete', che dovrebbe indicare la sorella o giù di lì. A parte questo, se ti conosco, non credo che ci sia alcuno in grado di redimere la tua cupa e disperata visione della città. Prendersela col Cev è davvero fuori luogo. Comunque vorrei dirti che io non sono un sostenitore di Cevenini tanto quanto non ne sono un detrattore. E per varie ragioni. Primo perchè ho la sensazione di portare sfiga. quando parteggio apertamente per qualcuno va sempre a finir male. Perciò questa volta sto abbottonato, anche per non portar danno al Cevenini. Secondo, come tu sai, passo per sociologo (e vile sondaggista). Come tale osservo tendenze, faccio previsioni, cerco connessioni... Se tengo un certo distacco, cioè on mi lscio pilotare dalla sfiga, spesso ci prendo. Naturalmente ciò non impedisce di provare una qualche simpatia per l'oggetto di studio. Studiando la realtà, infatti, se ne comprendono anche le ragioni. Se hai letto bene le diverse note che ho licenziato sull'argomento, al di sotto di Cevenini agisce un mondo sociale (popolare) dotato di una sua realtà e di molte giustificazioni. Quanto al popolo non voglio qui discutere cose sulle quali, ho visto, ti sei cimentato con un tal Gino che su talune cose sembra davvero un mio gemello. Resta il fatto che io mi fermo alle valutazioi (per quanto simpatetiche) mentre tu inclini piuttosto al (pre)giudizio animoso....

Anonimo ha detto...

Sora Fausta, sono solo un disgrassiato, lo ripeto... sono d'accordo con lei!
Ho segnalato il Cev fra i primi nel sito del nostro caro Mauro e l'ho fatto tempo fa, in tempi non sospetti per nessuno.
Sono a disposizione del soldato Cev nel caso arruoli anche marmaglia reazionaria.

AV

Anonimo ha detto...

Butta fuori Andrea e Gino e questo spazio diventerà un luogo serio per siscutere

Fausto ha detto...

Non so chi tu sia. In ogni modo la richiesta è irricevibile. Per diverse ragioni. Primo: Gino, uno che viaggia con la Prinz e si comporta come un mio doppio così bene che stento a riconoscermi, mi è simpatico. Secondo: Andrea è troppo colto e curioso e ironico - finirebbe per fare del male ad eventuali buttafuori (o di farsi del male da solo, il chè è anche peggio). Mi sentirei piuttosto di dire: salvate Andrea, sulla Prinz di Gino ! Terzo (last but not least, alla maniera un po' dandy di economisti ed epistemologi, quelli che rubricano i paragrafi con i, i', i'' e così via): la serietà del blog è nel suo carattere ludico-verbale. I discorsi seri, ammesso che esistano ed abbiano un luogo) si fanno altrove. Qui sarebbero solo seriosi...

fausto ha detto...

E comunque, santo iddio. Come si può metter fuori gli unici due alcolisti anonimi che frequentano il sito ?

Anonimo ha detto...

Prova a buttarli fuori e vedrai che il tuo sito prende il volo:discorsi seriosi,certo,ma non balordi

Anonimo ha detto...

E allora ti abbandoniamo ai Due balordi.Uno spazio di deliberazione pee cacciarli pubblicamente te lo diamo:24 ore

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INVITO

Iniziativa il 13 Maggio a Bologna,
Circolo Spartaco, ore 20,30


INVITO

Care e cari compagni/amici,
ad oltre un anno dalla nascita del Pd, ed avviandosi al suo primo congresso, è il caso di svolgere un esame approfondito della condizione di crisi che ne sta ostacolando il progetto.

Da porre all’ordine del giorno ci sono varie derive rintracciabili:

nel liberalismo di risulta che, nel programma, ha sostituito l’approfondimento delle culture riformiste;
nel mancato rapporto fra coalizione sociale e rappresentanza politica;
nelle forme organizzative di partecipazione, che hanno surrogato una imprecisata identità organizzativa (il 'partito liquido’);

Constatiamo come siano sempre più rari, anche a Bologna, i luoghi dove possano incontrarsi e riflettere sulle problematiche strategiche molteplici esperienze di iniziativa sociale e politica (come nei sindacati e nelle cooperative, ma non solo). Molte persone sono di fatto divenute estranee al processo politico. Al pluralismo delle idee e all’approfondimento delle analisi va sostituendosi un pluralismo di gruppi ‘politici’ perennemente impegnati in dinamiche a breve, fondamentalmente legate a posizionamenti opportunistici. Vorremmo verificare se c’è qualche modo per riprendere il volo.
In particolare se ci sono le condizioni per

attivare una associazione capace di tematizzare in modo agguerrito e originale i temi del lavoro, dell’uguaglianza, del legame politico e dell’appartenenza, della crisi/trasformazione della società


Per questo è convocata una riunione/dibattito il cui invito è esteso a tutti i lettori di questo messaggio per il giorno Mercoledì 13 Maggio 2009, alle ore 20,30 Via Gianbologna n.4, Ex Casa del Popolo Spartaco, Salone grande La serata sarà presieduta da Cesare Minghini e sarà introdotta da una relazione di Fausto Anderlini dal titolo: Cul de Sac Il Pd, il lavoro, la sinistra, la società. Strade smarrite, sentieri inesplorati, vicoli ciechi Vi aspettiamo numerosi!

Come raggiungerci: consulta la mappa

Una lettera a Piero Fassino su Gaza - Di Tommaso Gennari

Riceviamo e pubblichiamo volentieri la lettera inviata dall'amico Tommaso Gennari a Piero Fassino.


Gentile Piero Fassino,

Le scrivo come sostenitore morale del PD, quale mi considero, non essendo attivamente coinvolto nel Partito ma essendo simpatizzante per motivi culturali, di formazione, e di motivazione.
Negli ultimi tempi ho seguito con strazio e passione le notizie dei massacri di Gaza, e sto cercando di capire di più della situazione, e di come noi Italiani possiamo aiutare ad impedire ulteriori massacri, e, magari, a mettere la parola fine alla tormentata storia recente della Palestina.

Penso che l'attualità di Gaza debba essere distinta su due piani: da una parte la violenta emergenza dell'uccisione di circa 1.400 persone nello spazio di 3 settimane,
dall'altra la strutturale e storica situazione conflittuale della Palestina, nella contrapposizione tra lo Stato di Israele e gli ultimi nativi rimasti sul territorio che fu mandato palestinese della Società delle Nazioni sotto la gestione effettiva dell'Impero Britannico.

Partendo dall'emergenza più attuale.
Quali che siano i motivi e le ragioni, i fatti sono chiari, evidenti,
lapalissiani. Le forze armate israeliane hanno ucciso, nello spazio di 3 settimane, più di 1.300 persone, di cui più di 300 bambini.
I media internazionali hanno parlato di "guerra", di "fieri combattimenti".
Non sono uno specialista di guerre, ma solo un amatore appassionato di storia militare. Queste definizioni mi hanno lasciato stupito, di fronte alla realtà del campo di battaglia.

Come si può parlare di combattimenti, di guerra, quando da una parte ci sono più di 1.300 morti, di cui più di 300 bambini, e 5.000 feriti, e dall'altra, da quello che ho capito, 13 morti, di
cui 6 soldati uccisi dal nemico sul campo, 4 soldati uccisi dal fuoco amico, e 3 civili uccisi dai razzi sparati sulle città israeliane.

Sono questi fatti, queste evidenti verità, che impediscono al buon senso di chiamare guerra un evento del genere. La parola massacro ha più senso.

Anche a prescindere dai precisi eventi quali il bombardamento delle strutture ONU, della Croce Rossa, delle ONG, delle strutture di assistenza umanitaria pagate dai contribuenti europei, della mancanza di assistenza alla popolazione civile, e della fornitura di informazioni inesatte circa la sicurezza degli edifici date alla popolazione civile, i fatti che citavo in precedenza sono più che sufficienti per istituire un processo per crimini di guerra contro i decisori del massacro.

Giustamente, la comunità internazionale è stata in grado di portare in tribunale il presidente serbo Milosevic, non si capisce perché i decisori delle stragi di Gaza debbano restare impuniti. E mi riferisco sia ai responsabili politici che a quelli militari.

Certo, si può sostenere, non è la prima volta che le forze armate israeliane compiono simili atti di atrocità, e non è la prima volta che nel mondo ne succedono.
Certo, ma il mondo avanza, la civiltà avanza, la costruzione del
progetto europeo avanza, la costruzione di un mondo migliore avanza. Non possiamo adottare queste scuse per impedire alla civiltà di avanzare, e di rientrare nel medioevo.

Concorderà con me. Mi dirà, anche i responsabili politici e militari di Hamas sono responsabili di omicidi di guerra, verso civili e militari. Certo, concordo, e penso che anche essi vadano giudicati da un tribunale internazionale.
A parte che, probabilmente, la maggior parte di loro sono già stati assassinati dalle forze di sicurezza israeliane. Concordo che i superstiti vadano giudicati.
Ma le colpe di Hamas non devono essere un paravento per le atroci colpe dei decisori di parte israeliana in questi ultimi eventi di Gaza.
Un tribunale internazionale che giudichi i crimini di guerra commessi a Gaza sarebbe una speranza di pace e giustizia per il futuro. Un suo insabbiamento non potrà che portare altri morti e sofferenze in quella regione dilaniata.

Le persone sono sensibili alle giustizie e alle ingiustizie subite. La giustizia è un sentimento universale, che qualsiasi essere umano è in grado di provare.
Lasciamo agli specialisti l'individuare quali precisi crimini di guerra abbiano compiuto le forze armate israeliane, se genocidio, punizione collettiva, mancata assistenza alla popolazione civile, uso di armi al fosforo, o altro.
Importante è che si faccia.

A fronte di un governo italiano senza spina dorsale, per i penosi motivi che tutti sappiamo, è di cruciale importanza il Suo attivo impegno in questo senso. La splendida lettera che il Presidente Napolitano ha inviato nei giorni scorsi al Presidente Egiziano dà lo spazio di azione all'Italia in questo senso.

Ovviamente, essendo il PD all'opposizione, manca dei mezzi sostanziali per poter dispiegare una politica attiva a 360 gradi. Nondimeno, qualsiasi azione formale e informale possa essere fatta in questo senso deve essere tentata.

Sullo sfondo dei tragici eventi di questi primi giorni di gennaio, c'è poi tutta la complessità del conflitto tra lo Stato di Israele e gli ultimi nativi della Palestina non residenti dello Stato israeliano. Le soluzioni sono qui certamente più complesse, e mi permetto solo di avanzare solo un suggerimento.
A monte resta di primaria importanza tenere separati i concetti di giudaismo/ ebraismo come religione e tradizione culturale, del progetto sionista di casa nazionale, e dell'esistenza de facto dello Stato di Israele.
Alcuni commentatori hanno fatto paralleli con la situazione dell'Irlanda del nord. È vero, ci sono analogie, ma trovo che vi siano anche analogie con la colonizzazione del nord America da parte della Francia e dell'Inghilterra.

Non è ormai più possibile mettere in discussione l'esistenza dello stato di Israele, ma questo stato stesso dovrebbe concordare con l'esistenza del suo peccato originale di nascita, così come Canada e USA hanno fatto verso i nativi americani. La grande differenza di situazione è che i tempi sono straordinariamente diversi (e anche gli spazi).
Ma, come dicevo prima, oggi siamo ad uno stadio diverso di civiltà: le violenze che venivano commesse in passato non sono più accettabili, i tempi sono più veloci.
È un fatto che lo stato di Israele è risultato vincitore nella lotta per il possesso del territorio, della sua colonizzazione. Essendo in posizione di vincitore del conflitto, deve riconoscere ora i torti fatti alle popolazioni native, deve compensare i discendenti delle perdite subite, e riconoscere il diritto alla dignità e alla diversità culturale delle popolazioni presenti.

Dal punto di vista culturale è certamente una operazione lunga e complessa, piena di ostacoli. Un avvicinamento di Israele verso i valori fondanti della comunità europea, i valori di coesistenza civile frutto della tormentata storia europea della prima parte del secolo scorso, potrebbe essere utile in questo senso.

La ringrazio dell'attenzione, le invio i più cordiali saluti e tanti auguri per il futuro del PD,

Tommaso Gennari


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Società rotonda, anzi rotatoria

di Ilvo Diamanti

Da Caldogno - dove risiedo e, ogni tanto, vivo - fino a Vicenza ci saranno 5 o 6 chilometri. E 9 o 10 rotatorie.
In linguaggio familiare: rotonde. Il loro numero, peraltro, varia. A seconda del percorso scelto. Nel tempo: nell'ultimo anno ne sono sorte almeno 2. O forse 3, non ne sono certo. E' varia anche la loro forma, la loro dimensione. In alcuni casi si riducono a piccoli oggetti circolari di plastica o di cemento. Talora a cerchi tracciati con la vernice sull'asfalto. Oppure sono rilievi quasi impercettibili. Molto meno evidenti di un dosso. Tanto che ci si può passare sopra con le ruote, senza bisogno di rallentare. Ma in genere le rotonde sono ampie e appariscenti. Parecchi metri di diametro. E non le puoi accostare con le ruote, perché i bordi del perimetro sono ben rialzati rispetto al fondo stradale. In alcuni casi, infine, le rotatorie sono manufatti di grandi e talora grandissime dimensioni, di aspetto monumentale e pittoresco. Al loro interno, infatti, sorgono prati, giardini, alberi tropicali. Sculture ardite. Non manca, in qualche caso, lo sponsor. Le rotonde cambiano aspetto nel corso del tempo. Evolvono, come organismi viventi. Quando nascono sono appena abbozzate, un segno bianco schizzato a mano oppure una specie di puff di plastica rigida, ancorato al fondo della strada. Poi crescono, diventano grandi, assumono forme "rotonde" e si estetizzano.
Le rotatorie sono sorte per ragioni ragionevoli. Regolare e fluidificare il traffico. Affidarne la responsabilità diretta agli automobilisti stessi per non finire imprigionati dai vincoli imposti dai semafori, che non "vedono" i flussi della circolazione nelle strade che si incrociano. Per cui certe volte e a certe ore ci si trova bloccati dal rosso ad attendere il passaggio di vetture da altre strade perennemente vuote. Come il tenente Dogo, in eterna attesa dei Tartari; di un assalto che non avverrà mai. Mentre, altre volte e ad altre ore, l'arbitrario potere dei semafori produce ingorghi biblici. E', dunque, legittimo e comprensibile il fine che ha ispirato l'era delle rotonde. E gli esiti soddisfano le attese. In alcuni casi. Quando la rotatoria fa, effettivamente, scorrere la circolazione stradale molto più rapidamente del semaforo al cui posto è sorta. Lo stesso avviene - a volte - nei crocevia privi di semafori. Dove chi procede dalle vie minori è costretto a lunghe soste, in attesa di una pausa del traffico sulla strada principale. La rotonda: può essere utile. Può. Talora. Non sempre. Non dovunque. Da qualche tempo invece si sta riproducendo dovunque e senza soste. Senza limiti.
Ne sorge una ogni qualche centinaio di metri, nei punti e nei luoghi più impensati. Rotonde "alla francese", le chiamano, evocando un esempio "à la page". Impropriamente, perché in Francia tante rotonde così non le ho mai viste. Da nessuna parte, in nessuna città, in nessun dipartimento. In Italia, invece, sono proliferate dappertutto. E continuano a riprodursi. Organismi autonomi, sfuggiti a ogni controllo e a ogni regola. Riflettono, se vogliamo cercare analogie, l'andamento del fenomeno urbano e immobiliare negli ultimi quindici-vent'anni. Ha mutato il paesaggio sotto i nostri occhi in tempi tanto rapidi e in modo tanto profondo che non ce ne siamo nemmeno accorti. O meglio: prima di percepirne l'impatto era già divenuto "senso comune". Una realtà data per scontata. Di cui è inutile lamentarsi, anche se, ovviamente, crea disagio.
Un po' come le condizioni atmosferiche. Il caldo sempre troppo caldo e il freddo sempre troppo freddo. Così, a dispetto della crisi, sono sorti e continuano a sorgere nuovi agglomerati immobiliari anonimi, come i loro nomi: Villaggio Nordest, Quartiere Miramonti, Résidence Margherita... Per non parlare delle zone artigianali e industriali. Questo fenomeno si è dilatato a prescindere dalla domanda del mercato e dalla pressione sociale. Visto che la stagnazione demografica dura da decenni e negli ultimi anni l'economia non marcia troppo bene. Le rotatorie "seguono" la stessa dinamica. Anzi, la annunciano e la "anticipano".
Quando si incontra una rotonda in apparenza senza significato, lungo una strada che procede diritta, senza incroci, nel vuoto urbano è segno che lì qualcosa sta per capitare. E' probabile - anzi: certo - che intorno sorgerà presto un nuovo quartiere, una nuova zona residenziale. Le rotatorie, come le nuove intrusioni immobiliari, cambiano il paesaggio. Ridisegnano la geografia quotidiana e le mappe della circolazione. Per questo ri-orientano ma al tempo stesso dis-orientano. Cambiano non solo la viabilità, ma il modo stesso di affrontare e di guardare il territorio. Mesi fa, dopo una breve assenza (un paio di settimane), alle porte di Caldogno ho incontrato (mi sono scontrato con) una nuova rotatoria, finalmente conclusa, dopo mesi di lavori che rallentavano il traffico (fino a quel momento, peraltro, del tutto normale). Dopo averla imboccata, mi sono trovato altrove. In mezzo ai campi. Ma mi sono arrestato subito - poco avanti - davanti a una recinzione. Al di là, terreni incolti e - per ora - vuoti. Su cui, però, presto sorgerà - diciamo così - qualcosa. Lo stesso avviene altrove. Penso a Tavullia. Ci passo ogni settimana per andare a Urbino. E mi ci perdo, qualche volta, imboccando l'uscita sbagliata di una doppia rotonda - una specie di otto volante - in cima alla salita, prima di entrare in paese. Ma è la patria di Valentino Rossi, terra di piloti esperti. Mentre io - penseranno molti - sono un "impedito". Anche se in auto percorro almeno 50mila chilometri l'anno. Però lo ammetto: sono un "disadattato". "Non mi adatto" all'estetica del tempo nuovo; all'era immobiliare, che ci ha affogati in un mare di cemento. Non mi oriento in mezzo ai quartieri Miramonti e ai villaggi Margherita. E mi perdo nelle plaghe oscure, punteggiate di capannoni (spesso dismessi), traversate da via dell'Industria che incrocia via dell'Artigianato e corso della Meccanica. Tanto meno mi adatto a questa iperfetazione di rotonde. Immotivata per quantità, qualità e localizzazione.
Tuttavia, pochi oggetti sono in grado di raffigurare la meccanica sociale in modo altrettanto efficace delle rotonde. Dove i pedoni non hanno diritto di cittadinanza. Dove i ciclisti possono circolare solo a loro rischio e pericolo.
Perché la regola delle rotatorie è che passa prima chi entra per primo. Però, spesso prima passano il secondo e anche il terzo. D'altronde, non è sempre facile capire chi è entrato per primo.
E, comunque, presto si capisce che la rotatoria è come la vita: devi farti coraggio ed entrare nel gorgo. Prenderti i tuoi rischi. Sgommando e tamponando, se necessario. La rotonda. La rotatoria.
Difficile trovare una metafora migliore per rappresentare una società che assiste, senza reagire, alla scomparsa del "suo" territorio e, insieme, delle relazioni fra persone. Anche perché stanno scomparendo gli spazi per parlare e perfino camminare. Così per comunicare si usano i cellulari. Naturalmente senza vivavoce, auricolari e quant'altro. Una mano su volante e nell'altra il portatile. Con sprezzo del pericolo. Per sé e, soprattutto, gli altri. Una società dove le regole si interpretano a proprio piacimento, a proprio vantaggio. Dove le persone se ne stanno sempre più sole o in piccoli gruppi di familiari e amici, racchiuse in nicchie, come le automobili, che le allontanano dagli altri e le rendono più aggressive. (Io quando guido sono un mostro).
Non è la società liquida di cui parla Bauman.
Questa è la "società rotonda". O forse: rotatoria.

("La Repubblica", 23 gennaio 2009)